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Angel Luís Galzerano si racconta: Naufraghi è il prossimo protagonista della rassegna “Voci del Mediterraneo” Attualità Turismo ed Eventi 

Angel Luís Galzerano si racconta: Naufraghi è il prossimo protagonista della rassegna “Voci del Mediterraneo”

Protagonista del quinto incontro della rassegna letteraria “Voci del Mediterraneo” organizzata dal giornalista Antonio Corbisiero, che si terrà oggi  presso il liceo Tasso di Salerno alle 16:30, è lo scrittore, chitarrista e cantautore Angel Luís Galzerano. Uruguaiano di nascita, bresciano d’adozione: con diverse raccolte musicali alle spalle (tra cui Canto libre), ha composto colonne sonore per opere teatrali e documentari RAI. Nel 2010, esordisce come autore con “Di qui e d’altrove”. Fotostoria di un’emigrazione per continuare con altre pubblicazioni (alcuni titoli: Cronache sentimentali di un italiano a metà, Storie lunghe una canzone e il più recente Isole comprese).
Da lettore, si è immedesimato in chi legge ascoltando musica. Nasce, in questo modo, nel 2019, Naufraghi, una raccolta di racconti che culla il lettore attraverso brani scelti dall’autore stesso dove i personaggi sono degli emarginati e dei “perdenti”. Grazie alla sua partecipazione alla rassegna, è stato possibile approfondire il suo legame col testo e la sua idea di condivisione non
solo con la musica e la lettura ma anche con chi entra nelle sue pagine musicanti.
Lei è un cantautore, chitarrista e scrittore. Com’è nata l’idea di “Naufraghi”, un testo da leggere accompagnato alla musica? «Mi capita, spesso, di leggere con la musica in sottofondo e, a volte, si crea un bel connubio tra la musica e il testo. Così, sono arrivato a pensare che sarebbe stato bello se il lettore avesse potuto leggere i miei racconti ascoltando la stessa musica alla quale io, autore, li associo». Perché questo titolo? A cosa si è ispirato? «Sono da sempre, come credo lo siano in tanti, alla ricerca di situazioni o luoghi dove si possa celebrare l’umanità, l’arte, la poetica delle cose, l’incontro con l’altro come finalità di crescita spirituale. Ho pensato che chi fa questa ricerca sia un naufrago alla ricerca di un’isola felice, un luogo ideale dove ognuno possa essere accolto e valorizzato per quello che è. Cosa ben difficile in un mondo come quello di oggi che fagocita e omologa ogni cosa». Come sono state selezionate le musiche o le canzoni scelte per ogni racconto? «Come dicevo prima, la musica accompagna le mie letture e uno dei miei passatempi è, quando leggo i racconti di altri autori, di immaginarne la possibile colonna sonora. Mi è piaciuto farlo per i miei racconti. Oltre a questo, ho cercato l’affinità. Per esempio, per Il tempo dei papaveri, una storia d’amore, ho scelto una canzone d’amore scritta da me che si chiama Tendrías que llegar, e così anche per gli altri racconti». Tanti i protagonisti, c’è qualcuno che si ispira a lei e alla sua vita? A quale personaggio è più legato? «Mi sento legato a ognuno di loro per motivi diversi. Mi piace moltissimo il calciatore Carlovich, detto El Trinche, un perdente a sua volta vincente perché è diventato un mito pur senza aver vinto niente. E anche il protagonista de I sorrisi smarriti che, nella stazione Centrale di Milano, ferma i viaggiatori per dire loro che sono stati derubati del sorriso. E come non simpatizzare per il clochard colto che ha scelto di vivere per strada? Faccio il tifo per i perdenti, quelli che sono tali per questa società, perché hanno altri valori». Lei dice che “naufrago è il comune cittadino, schiavo dei meccanismi della società”. Quindi, di questa società, quali sono gli aspetti che critica maggiormente? «L’omologazione, il vendersi al miglior offerente, la mancanza di ideali e di solidarietà per i più deboli, il salire sul carro del vincente, la mancanza di memoria, la poca considerazione per i suoi artisti, l’essere considerato soltanto un possibile consumatore, tanto per citarne qualcuno». Lei è di Montevideo, vive da più di quaranta anni in Italia. Come descrive il suo rapporto con la madrepatria? Quanto è presente in questo libro? «La mia prima patria è sempre presente in ogni cosa che mi riguarda e non potrei fare diversamente. Fa parte della mia essenza. È molto presente nella mia musica e anche nel mio sguardo, quando osservo la realtà. L’aver vissuto altrove fa percepire ciò che si vede da più prospettive. Ultimamente, sto approfondendo anche il mio lato mediterraneo creando un connubio visto che i miei genitori erano salernitani, del Cilento». Con queste storie, quale messaggio vuole comunicare a chi lo legge? «Non ho mai pensato di trasmettere un messaggio mentre le scrivevo. Forse, ora che ci penso, inconsciamente ho voluto dire che “un altro mondo è possibile”, che possiamo coltivare l’umanità, l’emozione e la poesia perché ne abbiamo tanto bisogno». Secondo lei, dato che “naufraga l’umanità intera”, qual è il destino dell’umanità? In che direzione sta andando la società?
«È difficile rispondere in questo momento, con diverse guerre in corso e il clima violentato dal nostro esasperato consumismo. È difficile non essere pessimista con l’attuale disuguaglianza, con la crescita del divario tra Nord e Sud del mondo, con una terribile epidemia alle spalle che, nonostante i buoni propositi, non ci ha insegnato niente. Eppure, bisogna non perdere la speranza. Non bisogna accettare ciò che viviamo come inevitabile. Non bisogna barattare i nostri diritti in nome della cieca economia. Una celebre frase di John Lennon diceva “La guerra è finita se tutti lo vogliamo”, e io ci credo ancora. Per ogni cosa». Sta lavorando ad altri progetti simili? Può fare qualche anticipazione? «Sì, ho pubblicato recentemente una nuova raccolta di racconti dal nome Isole Comprese, dove continuo a cercare L’isola che non c’è. Chissà che, prima o poi, trovi la mappa segreta che mi conduca a lei».
 

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